Ciao a tutti, mi chiamo Anastasia Campostrini, sono veronese e ho 22 anni. Mi sono appena laureata in Scienze dell’Educazione e dopo la teoria universitaria ho voluto intraprendere una prova di solidarietà impegnandomi in un periodo di volontariato.
Come ti sei avvicinata a questa esperienza? “Da anni conosco una missionaria, Sara Caneva originaria del mio paese che presta la sua collaborazione in Brasile. I suoi racconti mi hanno sempre affascinata e soprattutto il Brasile è una Nazione che amo. Direi che sono stati questi gli stimoli che mi hanno portato nella Comunità dei missionari di Sau Bernardo do campo”.
Hai consigli per le persone che, come te, vorrebbero avvicinarsi al volontariato? “Innanzitutto un atteggiamento interiore di apertura verso il mondo e la differenza, ci aggiungo che bisogna partire con umiltà e tanta voglia di fare anche quando non capisci bene quale sia il tuo compito in una determinata situazione. L’esperienza che ho fatto io era molto “comfort” perché vivevamo nella casa delle missionarie e avevamo bagni, letti caldi e persone che ci cucinavano cibi squisiti. Non sempre però i posti dove alloggiano i volontari sono così comodi quindi è fondamentale lo spirito di adattamento e la voglia di avventura”.
Quali erano le tue paure prima della partenza? “L’aereo. Quella “scatola di ferro” mi terrorizza e pensare che avrei dovuto viverci dentro molte ore non mi entusiasmava. Oltre a questa non ne avevo molte, forse la difficoltà della lingua, sapere di non conoscere il Portoghese (in quelle zone non si parla inglese) oppure di non socializzare con le mie compagne di avventura e con i bambini del centro. Ci aggiungo, gli stereotipi che ti fanno pensare a chissà quali pericoli e alle varie malattie. Mi hanno condizionata al punto che sono partita con solo abiti sportivi (anti tentazione) e una scatola piena di farmaci (che non ho usato). Una volta ambientata mi sono resa conto che erano tutte sciocchezze”.
Cosa pensi della tua esperienza? “Voglio tornare immediatamente e riviverla”.
Quali compiti avevi e come si svolgevano le tue giornate? “Sveglia alle 6.30, si raggiungeva il Centro missionario che si trovava ad una mezz’ora di distanza e alle 08.00 iniziavano le varie attività con bambini ed adolescenti. Pranzo, e alle 14.00 riprendeva il secondo turno fino alle 17.00, di norma eravamo a casa alle 18.00/19.00. Nelle prime due settimane abbiamo svolto lavori manuali di mantenimento e allestimento delle strutture, ovvero abbiamo disegnato dei murales che sottolineavano i valori proposti dal Centro, dipinto il muro della recinzione, poi sgomberato e distrutto casette di lamiera e ripulito magazzini (eravamo tutte donne ma toste). Nelle ultime due settimane ci siamo concentrate maggiormente sulle attività educative, seguivamo e supportavamo gli educatori organizzando piccoli spettacoli e giochi. Una giornata è stata interamente dedicata alla visita delle famiglie dei bambini coadiuvata dall’assistente sociale, momento importantissimo per capire più concretamente la dura realtà in cui si trovano inseriti i bambini meno fortunati dei nostri. Il week-end veniva interamente dedicato a visite turistiche nei dintorni”.
Hai un ricordo particolare e indimenticabile? “Ho molti ricordi bellissimi, venire a contatto con un mondo dove la dignità umana scarseggia ma in cui l’allegria non manca mai, i sorrisi dei bambini, i loro abbracci è qualcosa che ti resta dentro. Persone che hanno davvero poco ma che trovano e ti donano sempre una ragione per sorridere. E poi i paesaggi, la foresta meravigliosa e l’immensità dell’oceano. Tra tutti, senza ombra di dubbio, ho ancora vivo il ricordo di una famiglia dove la mamma era inferma, su una sedia a rotelle, con quattro bambine che dovevano sopravvivere e si comportavano come adulte, nonostante la giovane età. I loro sguardi spaventati mi hanno segnata, non ho mai visto un’intensità e una tristezza così profonda in un bambino. L’infanzia rubata dalla dura realtà, non può lasciarti indifferente”.
Che opinione hai del Brasile? “È un Paese con due aspetti: la ricchezza e la povertà, la via di mezzo non esiste. Lo capisci anche dall’urbanistica, coesistono vicinissimi, il grattacielo lussuosissimo e le favelas (ora il governo le chiama “comunità”). È una nazione meravigliosa piena di fascino latino, è immensa e quindi ricca di diversità, i paesaggi da una regione all’altra variano moltissimo anche se io ho visitato solo la zona di San Paolo”.
Cosa ti è rimasto di questa esperienza? “L’elenco è davvero lungo. Non saprei da dove iniziare. La ritengo positiva anzi fantastica per moltissimi aspetti, mi ha permesso di comprendere cosa sia la povertà non solo materiale ma soprattutto morale, ho compreso quanto siano importanti i legami nella nostra vita e quanto sia rilevante manifestare le proprie emozioni e il proprio affetto (i brasiliani sono molto calorosi). Un‘esperienza formativa a contatto con una realtà così diversa da quella delle proprie origini e dal benessere a cui si è abituati ti apre la mente e ti consente di comprendere che ogni luogo ha le sue regole di vita e che si deve essere generosi nel dare affetto, conoscenza, professionalità e umanità. Devi far leva sullo spirito di adattamento perché incontri nuove persone, senti un altro accento, mangi cibo diverso, la stessa sensibilità è diversa. Peraltro ho constatato che mangiare carne e fagioli ogni giorno, non è salutare e mi fa stare male. Ho scoperto un lato del mio carattere inaspettato, più affettuoso e avventuroso. Mi sono resa conto che mi porto dentro parecchi pregiudizi, tutti ne abbiamo, ma ero convinta di esserne immune. Un’esperienza forte, significativa perchè si cresce molto. Ne è valsa la pena”.
L’organizzazione umanitaria alla quale mi sono rivolta per attivare il mio volontariato: AIPK ONLUS associazione internazionale Padre Kolbe Viale Giovanni XXIII 19 Borgonuovo, 40037 Sasso Marconi.